Recensione Amorphis - Tales From The Thousand Lake |
Scritto da Stefano & Shinoko |
Sabato 14 Agosto 2010 19:53 |
Amorphis - Tales From The Thousand Lake (Relapse Records 1994)
Anno mundi 1993, terzo vagito di una geniale creatura finlandese. Il suo nome non lo trovate nelle leggende antiche, ma più di mille parole riesce a definire il gruppo: Amorphis. Senza forma precisa, con tutte le forme. Se i primi EP sono "prove tecniche" di registrazione, questo è l'EP per eccellenza. Condensato di potenza ed armonia, ritmiche opprimenti e spazi immensi. La line-up era formata da Esa Holopainen (chitarra), Jan Rechberger (batteria), Olli-Pekka Laine (basso), Tomi Koivusaari (voce/chitarra) e Kasper Martenson (tastiere e synth) - il tastierista, responsabile principale delle melodie del gruppo viene sostituito durante il tour dal pur bravo Kim Rantala, ma la sostituzione lascia nell'ascoltatore-fan un leggero rammarico-. I testi sono stati scritti traendo ispirazione dal libro della tradizione finnica Kalevala, il quale raccoglie 50 composizioni che trattano svariati argomenti della vita quotidiana finnica di un tempo. Le storie trattate sono 3, ma senza una soluzione di continuità, infatti gli Amorphis hanno creato un tessuto narrativo intrecciando gli orditi dei vari capitoli nelle loro canzoni. Dopo aver cercato, in maniera pur fragile, di descrivere il gruppo, mi assumo il compito, come recensore-narratore, di dare un significato alle varie composizioni: cercare di trasmettere cosa hanno significato per me delle musiche totalmente appassionanti e pregnanti. Incomiciamo con l'intro dell'EP, che è anche la title-track: Thousand Lakes. Affresco sonoro melodico e struggente, che, come ho detto in precedenza, ha nel suo essere "cinematografico" il suo carattere di maggiore rilievo. Bisogna dare atto a Masterson della sua opera: due minuti di sublime melodia, la prima ma non l'unica di questo album. Gli Amorphis riescono nel segno proponendo "Into Hiding": riff d'entrata lento e abbastanza melodico per poi diventare maggiormente ritmato, fino all'entrata in scena del possente "ruggito" growl di Tomi (un growl veramente cupo e potente). La canzone acquista quota su ritmi più elevati, fino a sfociare in un duetto vocale clean-growl piacevole. Fa da padrone una chitarra insistente con un ritmo abbastanza ricercato. L'uscita di scena è lasciata ad una coda strumentale. "First Doom" è una traccia che si discosta dalle altre, presentando una ritmica di potenza sabbathiana. I cambi di ritmo sono abbastanza frequenti, non lasciando adagiare l'ascoltatore sulla sicurezza di un solo genere musicale. La quinta traccia è a dir poco stupenda. Lavoro di fino di un gruppo, un vero capolavoro. Grandi tastiere, dolenti e "autunnali"; chitarra presente ma in veste di supporto per le tastiere, voce growl accorata e intermezzo clean struggente. Se mi permettete il paragone è come vedere un grande quadro in cui è rappresentato un paesaggio, che, davanti agli occhi invecchia e diventa autunnale, sfaldando la propria giovinezza in un giorno nero d'inverno. Forse il picco emotivo dell'album. La traccia che deve fare i conti con il capolavoro precedente è "Drowned Maid". Abbastanza veloce, quasi power metal, con sezione ritmica metronomica e growl imponente. "In the Beginning" ha un piglio epico, con iniziale duetto growl-clean. La canzone mantiene toni languidi, concepiti in maniera metallica, e presenta la maggiore propensione agli anni '70. Soprattutto nel primo stacco affidato alla chitarra riecheggiano atmosfere dell'era d'oro della musica (solo che al posto dei voli "celestiali" di Plant, troviamo la cavernosa profondità del growl di Tomi). La canzone presenta un piccolo assolo di tastiere di felice coloritura doorsiana. "To Fathers Cabin" è la penultima traccia di un album, che per quello che propone è sicuramente molto corto, ma, con maggiore razionalità, è molto bello, perché non diluisce emozioni in canzoni inutili o in riempitivi. La composizione è particolare e serve qualche ascolto per capirla ed apprezzarla appieno. L'ultima canzone è una degna chiusura "Magic and Mayhem". Ritmiche sabbathiane, tastiere fortemente seventies e un corpo della canzone devoto a un incrocio fra Zakk Wylde e Sabbath (se proprio devo trovare dei paragoni). La voce guida l'ascoltatore in catacombali profondità. Nota di chiusura, la canzone è invasa da un synth che la percorre come elettricità statica, spezzando il doom e donandogli varietà (vedi, per esempio, Sabbath Bloody Sabbath). Quello che ho cercato di fare è una breve guida-esca all'ascolto, un piacevole trampolino di lancio per istigare passione e curiosità. Cercare ulteriori particolari precluderebbe un ascolto più "innocente", rovinando l'esperienza che si deve fare in prima persona: in poche parole "il sentire estatico".
GIUDIZIO: E' un'esperienza musicale ed estetica: non si tratta solo di "ascoltare", ma di "sentire" nel profondo le melodie, di lasciarsi trasportare. --/10 Web: www.amorphis.net & Forum Fan Club Italiano Lineup: Tracklist: |