Carcasss - Heartwork (Earache 1994)

I Carcass sono i padrini dello stile grind insieme ai Napalm Death. Suoni veloci, velocissimi a volte, grugniti al posto delle linee vocali, tematiche estreme, esplosioni soniche in un tempo brevissimo. I Carcass hanno subito manifestato uno stile rivolto all'analisi chirurgica della morte, dell'uomo (ok.. non più come tale, ma come ammasso di organi) e della sua anatomia. La proposta iniziale (il già accennato e seminale grind) viene evoluta con il tempo, incrociando la propria strada con territori death metal estremi: il risultato di questa contaminazione sono due dischi di livello egregio, violenti, esplosioni di violenza ragionata (e per questo più temibile), testi insalubri e con una qualche luce di melodia all'interno. Il penultimo disco (il qui recensito Heartwork) prima dei noti problemi di ordine manageriale e di line-up, è quello che segna la svolta verso una proposta meno oltranzista, meno votata al macellamento e allo squartamento sonoro, ma più ricercata, più sottilmente corrosiva. Il death metal iniziale viene contaminato da certe visioni malate di torbide melodie, le chitarre non viaggiano solo su ritmi da colpo apoplettico, ma modulano disgusto e violenza in più tonalità. Le melodie vengono concepite non come allegerimenti della trama sonora, ma come ulteriore carico, come sinfonia irridente verso l'ascoltatore. I testi mutano con "Heartwork", passando dal manuale di medicina patologica, a temi più vari, quali la guerra, la tecnologia, l'amore (avete letto bene) e altri, ma mantengono viva la lama affilata dell'ironia. Il fatto di aver inglobato nelle loro sonorità anche qualche apertura melodica, non significa che si sono trasformati in una band easy-listening, il rapporto melodia-death pende nettamente in favore del death brutale e tecnico. Le tracce, tutte, sono quadrate, aggressive e perfettamente integrate dalla voce al vetriolo di Jeff Walker. "Buried Dreams" è probabilmente l'episodio in cui melodia e brutalità si fondono alla perfezione. Le chitarre sono taglienti ma melodiche, il death viene leggermente imbastardito con un pò di thrash, la voce è maligna e abrasiva e il tutto viene proposto con precisione. Con "Carnal Forge" si riprendono lo scettro di death metal band, velocità elevate con alcuni rallentamenti sapienti e ritmiche ossessive, stupisce il solo melodico ma tagliente. "No Love Lost" presenta un riff intricato e infettivo, con velocità medio-lente. Sulla stessa scia si pone anche la title-track, con un lavoro di chitarre estremamente vario, cangiante da riff veloci e assassini, a rallentamenti melodici. La traccia è interessantissima, con aperture melodiche varie e di tutto rispetto. Bello anche il lavoro della sezione ritmica, non solamente votato a martellare l'ascoltatore con un tripudio di violenza, ma capace anche di disegnare ritmiche efficaci e non totalmente violente. "Embodiment" stupisce anch'essa. Un riff marcio e lento (per gli standard Carcass) fa da substrato per le grezze vocals di Walker. Il rallentamento sembra pagare un pò di pegno a qualche soluzione potenzialmente adottabile dagli Obituary. Sempre degno di nota il lavoro delle chitarre, vario e decisamente coinvolgente (non votato alla ricerca della soluzione ad effetto, ma orientato su una struttura solida). Un ossessivo riff di chitarra apre "This Mortal Coil", per poi spostarsi su lidi paradossalmente quasi melodic-death (soprattutto per il lavoro armonizzato delle chitarre). La marzialità della batteria (nonchè la maturità della voce) tiene a distanza questo pezzo dalle produzioni esuberanti degli allora esordienti In Flames. "Arbeit Macht Fleish" si apre anch'essa con un riff alquanto intricato, per poi mutarlo (in modo molto liquido) in un riffone diretto e senza fronzoli e poi richiamare in carica il "vecchio e sano" death (in certi punti sembra di sentire l'ombra dei compianti Death di Shuldiner). Quello che differenzia questo death da quello proposto da altri gruppi è la percepibile mancanza di "marciume" sonoro, compensata da una sana e tagliente pulizia sonora. "Blind Bleeding the Blind" si struttura su un riff con vaghi sapori seventies, con buon gioco delle "asce" (il cui solo al cardiopalma è di tutto rilievo) e puntuale lavoro ritmico della batteria. Il bello dei Carcass è che, nella stessa canzone, spaziano su più livelli musicali, senza per questo far sembrare un pezzo attaccato a forza al seguente o un brano totalmente scollegato dagli altri. L'esplosione di batteria e la monoliticità del riff aprono le danze di "Doctrinal Expletives". Anche qua la melodia sorge malata, ma non stona, risultando un tutt'uno con la proposta adrenalinica del quartetto. L'ultima traccia è "Death Certificate", l'intro in stop'n'go, l'indugio, non è altro che un attimo di calma prima di gettare in pasto alle vostre casse un riff veloce, tagliente e diretto. Grande lavoro della sezione ritmica. Voce abrasiva e malattia di fondo concludono il disco con l'inevitabile... "certificato di morte".
GIUDIZIO:
Un disco maturo, perfetto. Un ottimo compendio di melodia e death, un posto dove la brutalità viene addolcita e resa apparantemente meno pericolosa. Molte band dovrebbero imparare come fondere diverse anime nella propria musica, in modo da non risultare noiosamente monotematiche e monodimensionali.
8/10
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Lineup: Jeff Walker - vocals, bass Bill Steer - guitars Ken Owen - drums Michael Amott – guitars
Tracklist: 1 - Buried dreams 2 - Carnal forge 3 - No love lost 4 - Heartwork 5 - Embodiment 6 - This mortal coil 7 - Arbeit Macht Fleisch 8 - Blind bleeding the blind 9 - Doctrinal expletives 10 - Certificate of Death
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