W:O:A (Wacken Open Air) 04/06 - 08 - 2005 begin_of_the_skype_highlighting 04/06 - 08 - 2005 end_of_the_skype_highlighting Metal Book Thruough The continent #4:
La sedicesima edizione del festival più bello, imponente e blasonato d'Europa è stata ovviamente un successo, anche se è stata funestata dal tempo inclemente e dall’incidente nel campeggio che ha causato il decesso di uno spettatore.Il nostro cordoglio va alla famiglia..... a cui facciamo le nostre più sentite condoglianze. Quest'anno non siamo riusciti ad organizzare il viaggio per la meta più ambita per i Metalheads (ci auguriamo di farlo nel 2006), ma con l'ausilio del corrierone organizzato da MetalHammer i nostri sono stati comunque in grado di riferire le loro impressioni e mandarci il loro materiale. Enjoy!!
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PRIMO GIORNO:
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Tocca ai norvegesi Tristania l’onore (e l’onere) di aprire il Wacken Open Air 2005 dal “True Metal Stage” alle 18:00, sotto un bellissimo cielo nord-europeo: nuvole minacciose all’orizzonte, ma sopra le nostre teste un cielo di un azzurro entusiasmante. Mentre la band di symphonic metal (oddio, preparatevi amanti delle etichette, perché nei tre giorni di festival ce ne sarà per tutti i gusti!) inizia la sua esibizione c’è ancora una lunga coda all’entrata dell’area riservata ai concerti, ma già si respira nell’aria una voglia di musica assolutamente elettrizzante. I 45 minuti a disposizione della band scorrono lisci, senza particolari picchi di emozioni e mettono in mostra una solida band, affiatata musicalmente, che fa però ancora un po’ fatica a gestire sul palco la presenza di tre voci, il mezzosoprano Vibeke Stene ed i due “male singer” Kjetil Ingebrethsen e Østen Bergøy.
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Ore19:15, signori: giù il cappello davanti al Doom Metal! Salgono sul True Metal Stage i Candlemass ed è già “Armageddon over Wacken”. Un’ora di concerto di grandissima qualità (per chi scrive uno dei tre concerti più belli ed intensi dell’intero festival) davanti ad un pubblico in delirio. Troppo poco per suonare tutti i pezzi che la gente vorrebbe sentire, dopo la lunga assenza dei Candlemass dalle scene, ma abbastanza per un greatest hits virtuale che la band esegue impeccabilmente malgrado un suono non perfetto ed un volume che va e viene. Si inizia con Black Dwarf tratto dall’ultimo lavoro intitolato semplicemente “Candlemass” (“non potete sbagliarvi: è tutto bianco con una croce nera” osservava Messiah Marcolin nella sua consueta tenuta da frate presentando la stupenda Copernicus), per continuare sull’ottovolante della storia del gruppo con delle vere e proprie pietre miliari del Doom Metal come At the Gallows End e A Sorcerer’s Pledge che, cantata a gran voce dal pubblico, chiude l’esibizione. Alzi la mano chi non avrebbe ancora gradito un paio di bis (“Mirror Mirror” e “Solitude” per fare un esempio)!
Purtroppo la scaletta prevede a questo punto l’esibizione dei teutonici Oomph!, band di Industrial che in pochi minuti riesce a far allontanare un quarto dei presenti (soprattutto tra i non-tedeschi) dall’area concerti a beneficio dei vari punti di ristoro presenti all’interno del festival. Da una breve indagine nei giorni successivi pare comunque che il trio tedesco, con ben 8 dischi alle spalle dal 1989, non abbia impressionato nessuno.
Mezz’ora circa dopo la fine dell’esibizione degli Oomph! è il turno dei finlandesi Nightwish, headliner del Giovedì. Credo che mai nel bill dell’ormai 16enne W:O:A siano stati inclusi così tanti gruppi di Symphonic Metal (ben quattro), segno che il genere sta decisamente prendendo piede tra gli appassionati europei. Probabilmente i Nightwish non hanno la statura degli headliner (come giustamente commentava Marco dalla Provincia Granda “gli headliner qui devono essere dei gruppi ‘pane, salame e metallo’”) però con il loro spettacolo sono riusciti a catalizzare l’attenzione di un numerosissimo pubblico (e chi non c’era si stava ammazzando di pogo nell’Headbangers’ Ballroom con il thrash/death dei danesi Hatesphere). Una Tarja Turunen in formissima (di cui il maxi-schermo ci regalava dei notevoli primi piani) dimostrava un’eccellente presenza scenica e la scaletta del concerto pescava lungo tutta la storia del gruppo, concedendosi anche una digressione, forse per dare un attimo di riposo all’ugola della soprano, con la cover di High Hopes dei Pink Floyd, suonata benissimo ed in modo molto originale dal gruppo ma cantata in modo criminale da Marco Vietala (i floydiani di ogni genere ed età presenti tra il pubblico storcevano visibilmente il naso alle storture vocali del bassista). Durante tutto il concerto si è fatto un notevole uso di giochi pirotecnici, alcuni molto azzeccati (come i fuochi sparati sul palco in sincrono con il canto della Turunen) altri un po’ banali e ridondanti. L’esibizione comunque si fa sempre più interessante e coinvolgente con il passare del tempo ed alla fine la richiesta di bis del pubblico di Wacken è quanto mai sincera ed è il segnale che è arrivato il momento di mandare agli archivi la prima giornata di festival.
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SECONDO GIORNO:
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Sveglia sotto una pioggia ghiacciata e prima colazione al Black Stage con i Naglfar. I blackster svedesi riescono a radunare sotto il palco un buon numero di aficionados per 45 minuti di black metal senza respiro. Penalizzati dall’ora (inizio alle 11:00) e dal tempo inclemente, riescono comunque a vomitare sul pubblico una buona parte dei loro successi, pescando in buona misura anche dal loro ultimo lavoro Pariah (una menzione particolare alla malvagia e isterica Spoken Words of Venom che ben si adattava al contesto meteorologico in cui tutti erano più o meno intenti a smoccolare per pioggia e freddo…).
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Giusto cinque minuti di respiro e sull’adiacente True Metal Stage attaccano i Morgana Lefay. I cinque svedesi dimostrano nel giro di un paio di pezzi quanto sia riduttivo affibbiare loro l’etichetta di Power Metal, perché a più riprese dimostrano di avere le capacità ed i mezzi per sfoderare dei suoni molto più heavy di quanto gli si dia credito. Il cantante Charles Rytkönen tiene benissimo il palco ed il duo di chitarre Tony Eriksson e Peter Grehn sfodera dei riff decisamente heavy (e l’headbanging tra il pubblico è lì a dimostrarlo). Facciamo così: visto che ormai siamo entrati nostro malgrado nella spirale delle etichette, se proprio vogliamo chiamarlo Power, chiamiamolo ‘Heavy’ Power Metal…
A questo punto il mio programma personale prevedeva un attimo di sosta dalla pioggia e magari un cambio di abiti, ma un amico mi dice “hey, vorrai mica perderti il concerto di Marky Ramone al Party Stage?”. Convincermi non si rivela un’impresa così ardua se cinque minuti dopo mi trovo in terza fila tra il pubblico con l’età media più alta di tutto il festival. L’eterno Marky con i suoi Ramones-Mania sale sul palco e con la sua parlata cantilenante rivolge subito un pensiero, accolto da un boato, agli “absent friends” Johnny, Joey e Dee-Dee Ramone. Poi via con i classici: Rockaway Beach, Pet Sematary, I wanna be sedated, Teenage Lobotomy e chi più ne ha più ne metta, tutti cantati a gran voce dal pubblico entusiasta. E si poga. Cavolo quante botte volano sotto il palco mentre si cominciano ad intravedere i primi corpi in movimento sopra le mani tese. Di fianco a me c’è un over-qualunque-età tedesco in truce tenuta mimetica che piange a dirotto. Roba da farti venire voglia di abbracciarlo e offrirgli una birra per consolarlo. OK, Marky non è proprio come sentire i veri ‘Mones (e non è che i suoi Ramones-Mania musicalmente siano poi un granché), ma sfido chiunque a non aver ripercorso con la memoria il periodo in cui queste canzoni facevano parte della colonna sonora della nostra giovinezza! Sul palco compare anche il famossissimo ed immancabile cartello “Gabba Gabba Hey”. L’intervallo tra un pezzo e l’altro è scandito dallo slogan “Hey-ho let’s go!” urlato a gran voce dal pubblico, ma per ascoltare Blietzkrieg Bop bisognerà aspettare la fine del concerto, con Marky che si alza dalla batteria per dire “hey, if you want one more all you need to say is: ‘Hey-ho let’s go’”. Alla fine dell’applauditissima esibizione si sciama via dal Party Stage (mai nome più azzeccato) continuando ad intonare il ritornello di Blietzkrieg Bop con un sacco di gente che, passando di lì senza aver visto il concerto, si univa al coro. Della serie: questo si che è divertimento! Temperatura corporea rialzata di almeno 10 gradi centigradi…
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Altro giro e…altro gruppo Power: i Sonata Arctica (con rigorosa C tra la R e la T). Questo gruppo finlandese esibisce un bellissimo logo ed una fazione di “ultras” nelle prime file piuttosto nutrita e rumorosa, ma musicalmente risulta, almeno al mio orecchio, un po’ banale e ripetitivo (anche se la critica più qualificata li porta in palmo di mano su tutte le riviste specializzate). Non sembrano avere sonorità o riff che li possano elevare sulla scena Power che risulta già più affollata di una spiaggia della Romagna a Ferragosto. Un concerto, intendiamoci, godibilissimo, ma un po’, come dire, molle e già visto.
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Per fortuna a fare il pieno al serbatoio delle emozioni arrivano i loro connazionali Ensiferum. Due full-length alle spalle e una voglia di spaccare il mondo con il loro Folk Black a metà tra l’headbanging e la danza etnica. Un pubblico numerosissimo ed entusiasta affolla l’area del Party Stage, che in questa ed alcune altre occasioni si rivela veramente troppo piccola. Che nessuno tra il pubblico sia lì per caso si capisce da come le canzoni vengano riconosciute, cantate e vissute. Il body surfing esplode al suono combinato di chitarre distorte e tastiere folk e l’intera area sembra un mare in tempesta di corpi che si muovono. Peccato che al Party Stage non ci sia un maxi-schermo perché tra il movimento selvaggio e la statura media di ‘sti cavolo di nordici il palco proprio non si riesce a vederlo. Speriamo nel DVD del festival che la Armageddon Music pubblica ogni anno… Nell’ora di concerto gli Ensiferum offrono una carrellata del meglio di due album bellissimi (‘Ensiferum’ e ‘Iron’) dando prova di una tecnica individuale più che buona e di un suono di insieme compatto e armonioso. E’ sempre bello constatare che un gruppo conferma dal vivo la buona impressione avuta su disco.
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Ritorniamo al True Metal Stage per i thrashers americani Metal Church. L’impressione è che il gruppo del chitarrista Kurdt Vanderhoof e del batterista Kirk Arrington abbia il meglio di se dietro alle spalle nella ormai ventennale carriera. Il concerto scorre comunque gradevole e i suoni sono decisamente tosti, in linea con la tradizione del thrash americano. Ma anche qui siamo confinati nell’Amarcord.
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Ma la mente è già al Black Stage ed al gruppo che sta per salirvici: gli Obituary. Già visti all’opera ed in perfetta forma al Gods of Metal, i padrini del death metal si presentano sul palco mentre su Wacken si sta abbattendo il diluvio universale, ma nel giro di pochi minuti la devastante ritmica della batteria di Donald Tardy e del basso di Frank Watkins, le chitarre implacabili di Allen West e Trevor Peres, ma soprattutto l’ipnotica, marcia, malvagia timbrica vocale di John Tardy riescono a fare in modo che non ci si renda più conto dei vestiti bagnati, del freddo di Wacken, dei piedi nel pantano. Il sound degli Obituary permea l’aria, classici come Dying, Chopped In Half e soprattutto il testamento death metal Slowly We Rot, che chiude il concerto, investono l’ipnotizzato pubblico che si scatena come fosse questo l’unico concerto del festival. Non tutte le reunion hanno un retrogusto commerciale: secondo miglior show della tre giorni dell’Armageddon Heavy Metal!
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A questo punto, mentre siamo intenti a raccogliere i cocci dei nostri timpani dopo il concerto degli Obituary, sembra un controsenso sistemarsi sotto al True Metal Stage per assistere all’esibizione degli Edguy … ma proprio questa è la ricetta vincente del W:O:A: tanti generi di metal diversi in poche decine di metri quadrati, ce n’è per tutti! Le nostre orecchie vengono comunque aiutate a riprendersi dal ritardo con cui il gruppo power tedesco sale sul palco: un addetto annuncia dal microfono del palco che il gruppo è rimasto vittima di un ingorgo stradale e che comunque “we are flying them here with a fucking helicopter” (ed infatti un elicottero appare proprio in quel momento nel cielo turbolento dello Schleswig-Holstein). Introdotto dall’ormai immancabile annuncio tratto da Hellfire Club “Ladies and gentlemen: welcome to the freak show!” Tobias Sammet, voce e front man del gruppo, ringrazia il pubblico di essere lì per loro sotto quel diluvio, poi si fa subito portare una bottiglia d’acqua che si vuota completamente in testa tanto per mettersi al pari nostro. Un gesto simpatico con cui si fa perdonare l’orrenda tenuta indossata per il concerto (andatevi a cercare una foto tra quelle scattate al festival che ne vale veramente la pena!). 75 minuti frizzanti di ottima musica, perfino più “heavy” di quanto mi sarei aspettato (gli headbangers più incalliti che si riferiscono ironicamente a loro come “Edgay” sono così serviti). Ci viene anche presentato in anteprima un pezzo dal nuovo disco in uscita il 5 Settembre (e chi se lo dimentica più? L’avranno ripetuto una trentina di volte…!) dal nome “Superheroes”. Durante l’esecuzione di Mysteria Sammet si esibisce anche in una arrampicata spericolata sui pali del palco, tanto che ad un certo punto ti viene da pensare che gli ci vorrà un altro elicottero per tornare giù… Il concerto si conclude con la famosissima King Of Fools, cantatissima dal pubblico, peccato però che il finale a sorpresa (oppure sbagliato dal gruppo, io propenderei per questa seconda ipotesi…) con uscita repentina di tutti i membri degli Edguy dal palco sorprenda il pubblico a tal punto che non si levano nemmeno richieste di bis.
Gli olandesi Within Temptation hanno la fortuna di salire sul Black Stage (?) proprio mentre sta finendo di piovere, e forse anche per questo vengono accolti in modo molto caloroso dal pubblico. Ecco il terzo gruppo di Symphonic Metal del festival 2005. Anche qui gran parte dello spettacolo si basa sulle capacità vocali della soprano Sharon den Adel e su un apparato di giochi pirotecnici che ricorda troppo il concerto dei Nightwish della sera prima per essere apprezzato in pieno. La bella vocalist intrattiene il pubblico facendolo rispondere ai suoi vocalizzi, alcuni con tonalità assolutamente inarrivabili, con dei risultati abbastanza ridicoli. Anche i Within Temptation si lanciano in una cover, in questo caso la bellissima “Running Up That Hill” di Kate Bush, durante la quale Sharon den Adel invita il pubblico a saltellare insieme, tipo Curva Sud, non esattamente la cosa più furba da farsi per chi stava già faticosamente in piedi in mezzo a tutta quella melma… Ore 21:00, salgono sul palco gli headliner Machine Head. Non avendoli mai visti all’opera dal vivo ero veramente curioso di assistere all’esibizione dei 4 thrasher americani. Risultato: il miglior concerto (parere personalissimo, ma decisamente convinto) di tutto il festival! Il quartetto di Robert Flynn incarna tutto ciò che i fans di Metallica e Pantera vogliono da un gruppo di thrash metal e che per una ragione o per l’altra non possono più avere dai loro beniamini. Non è un caso che verso la fine del concerto in un pout-pourri di medley (“sono gruppi con cui siamo cresciuti” anticipa Flynn) ci sia posto per Creeping Death dei ‘Tallica, Walk dei Pantera (i cui primi due accordi di chitarra scatenano un vero e proprio pandemonio tra il numerosissimo e caldissimo pubblico) ed un’inaspettata The Trooper degli Iron Maiden cantata a squarciagola dai presenti, sottoscritto compreso. Flynn si rivela un mattatore sul palco, lancia dei brindisi dal palco alla fine di ogni canzone con dei ‘Prost!’ che il pubblico accoglie di buonissimo grado (non è che con i frequentatori di Wacken si debba poi insistere molto per chiamare un brindisi a base di Wackener Bier…). L’esibizione si chiude con Flynn che intona la magica “…and she’s buying a Stairway to Heaven” che ti fa pensare: “ho assistito ad un concerto o ad una proiezione delle mie più recondite fantasie musicali?”. Da spellarsi le mani!
Non si è ancora spento l’ultimo eco della frase conclusiva dell’anthem dei Led Zeppelin che già sul Black Stage partono gli Stratovarius, surprise-act del Venerdì. A dire il vero tanto surprise non è stata perché tutte le magliette del festival riportavano già il logo del gruppo finlandese. E’ stato comunque un buon diversivo, una mezz’oretta di classic-Stratovarius. Né più e né meno di quanto ci si possa aspettare dal gruppo in eterna rivoluzione interna, atteso ora da una tournée europea (che toccherà anche l’Italia) per presentare il loro ultimo lavoro con un po’ più di calma. A questo punto uno si chiede: “cosa può ancora succedere stasera?”. Semplice. Ore 23:00, Black Stage: Apocalyptica. Se non si è mai assistito ad un concerto dei tre violoncellisti diplomati alla prestigiosa Sibelius Academy finlandese, non si può nemmeno lontanamente avere un’idea di quanto uno strumento classico ed acustico per eccellenza possa suonare heavy! Lo show scorre contemporaneamente su due binari: brani tratti dalla più recente produzione del formidabile gruppo finnico (album come Cult, Reflections o il più recente Apocalyptica), da quando cioè il gruppo ha cessato di essere solo “una bizzarra cover band” per diventare una stella di prima grandezza nel panorama metal europeo, si alternano alle classiche cover dei Metallica. E’ inutile dire che il grosso del pubblico è lì per le cover dei ‘four horsemen’, ma gli Apocalyptica riescono a far appassionare il pubblico anche con la produzione più sinfonica e certamente meno conosciuta mostrando virtuosismi incredibili (anche a livello fisico: veder suonare un violoncello dietro la schiena come Jimi Hendrix faceva con la chitarra non è esattamente cosa da tutti i giorni!). E quando risuonano le prime note di Creeping Death (dopo la versione dei Machine Head questa è la seconda volta che ascoltiamo questo brano dei Metallica in poche ore), il pubblico si esalta. Seguono Nothing Else Matters, cantata dal pubblico in modo sguaiatissimo (brrrr!), Master of Puppets (e qui il pubblico si rifà azzeccando le tonalità giuste dall’inizio alla fine) ed una Enter Sandman da brividi tra esecuzione sul palco e cori del pubblico. Con la tradizionale norvegese Hall of Mountain King, destinata a rimanerci in testa fino al nostro rientro in Italia, si chiude l’ora e mezza di indimenticabile show del gruppo più atipico della scena metal odierna.
La notte di Wacken ci riserva ancora un appuntamento al Party Stage con un altro gruppo finlandese: i Turisas (accento sulla i, mi raccomando). La temperatura è scesa notevolmente (dall’abbigliamento che indossiamo dobbiamo sforzarci di pensare che siamo veramente al 5 Agosto…) e siamo solamente un paio di migliaia ad attendere questi pazzi scatenati che ufficialmente suonano del Folk Metal ma che poi in realtà sul palco ci faranno vedere praticamente di tutto. Si comincia con una pantomima che mostra tre soldati medioevali con una uniforme crociata che vengono sgozzati sul palco da un barbaro vestito come mamma l’ha fatto. Questo atto granguignolesco da il la alla salita sul palco dei Turisas vestiti di pelli e segnati in viso con le pitture di guerra tipiche delle tribù norrene. “We are Turisas from Finland” e via una sarabanda di ritmi indiavolati con fino ad undici musicisti che si alternano sul palco, compresa una cantante, un violinista, un fisarmonicista (un po’ troppo invadente per i miei gusti, probabilmente sbronzo) ed un paio di improvvisati percussionisti (i crociati della pantomima iniziale riciclati come musicisti di sostegno alla ritmica indiavolata). Lo show, tutto basato sull’unico album pubblicato “Battle Metal”, scorre via molto divertente ma evidenzia la necessità di migliorare l’affiatamento sul palco. Ogni tanto la confusione è troppa e l’esecuzione ne risente. Questo genere musicale dimostra però di avere tantissimi estimatori, soprattutto nel nostro paese (eravamo in tanti a parlare italiano nelle prime file). Finito lo spettacolo dei Turisas è veramente giunto il momento di andarci a chiudere in un caldo sacco a pelo sperando che il tempo del Sabato sia più clemente.
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TERZO GIORNO:
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Appuntamento d’obbligo per tutti gli italiani presenti al W:O:A era l’esibizione sotto il tendone del W.E.T. Stage degli Stigma, il gruppo deathcore italiano che si è aggiudicato la Metal Battle per il belpaese (la Metal Battle è una sorta di concorso nazionale tra band emergenti che si tiene in diversi paesi europei. I gruppi vincitori di questi concorsi hanno la possibilità di esibirsi al Wacken Open Air). I quattro ragazzi di Mondovì hanno a disposizione mezz’ora dalle 12:00 alle 12:30 per far vedere a Wacken quanto valgono. Peccato che il tempo atmosferico non li aiuti, nel senso che dopo tanta acqua versata sul festival il loro show coincide con un momento di sole accecante, così quando Vlad, Morgan, Magna e Stefano salgono sul palco sotto il tendone del W.E.T. Stage ci sono solo poche decine di spettatori, tra i quali lo scatenato ‘Cuneo Metal Commando’ rumorosissimo e dall’headbanging facile. Come se non bastasse, a rendere più complicata l’esibizione dei quattro piemontesi si mettono anche i tecnici del suono che hanno di fatto ritardato di un buon quarto d’ora l’inizio dell’esibizione costringendo gli Stigma a tagliare una parte della loro scaletta. Resta l’importanza della presenza alla Disneyland del metal europeo che i quattro potranno portare come un tatuaggio indelebile sulla pelle, augurando loro che questo non sia che l’inizio di una carriera piena di soddisfazioni. Ed eccoci per la seconda volta immersi in atmosfere doom con gli svedesi Count Raven. Classica formazione a tre, basso-chitarra/voce-batteria, i Count Raven suonano molto anni ’70 con una timbrica vocale che si rifà abbastanza chiaramente a ‘Ozzy Osbourne’. Non stupisce che il gruppo di Dan Fondelius e Tommy Eriksson sia stato headliner al festival “Doom shall rise”, interamente dedicato a questo genere musicale, perché ne incarna perfettamente i canoni: nessun trucco scenico, poco movimento sul palco, atmosfere decadenti. Peccato che l’esibizione del gruppo svedese venga in scaletta alle 14:00 con il sole che splende tra nuvoloni neri poco rassicuranti (quelli sì, molto ‘doom’).
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Il programma prevede alle 15:00 gli statunitensi Overkill, altri mostri sacri del thrash made in U.S.A., venuti a Wacken con ben vent’anni di carriera alle spalle. Il cantante Bobby “Blitz” Ellsworth gigioneggia sul palco tra un pezzo e l’altro (“sapete cos’è fantastico qui a Wacken? Sono le tre del pomeriggio e metà di voi è già ubriaca…”) mentre la scaletta ripercorre la storia del gruppo americano (un pezzo su tutti: la favolosa Necroshine) per soffermarsi in chiusura di concerto su hits più recenti come (we don’t care what you say) Fuck You! cantata a gran voce dal pubblico e corredata dalla pittoresca (?) esibizione di migliaia di medi allo scatenato cantante.
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Impegnati in operazioni noiose ma vitali quali smontare la tenda e caricare i bagagli sul bus passiamo un paio d’ore in allegria tra uno scroscio di pioggia e l’altro, ma ritorniamo nell’area concerti giusto in tempo per l’inizio dell’esibizione dei Finntroll al Party Stage. Questo gruppo Folk/Black finlandese ha saputo creare uno zoccolo duro di fedelissimi in continua crescita e l’area preposta per l’esibizione dei sei finlandesi si rivela davvero troppo piccola per il pubblico che vi si è radunato (gli spettatori nella parte più esterna lamenteranno l’interferenza del Black Stage dove i Marduk si stavano esibendo). Spiace dirlo (a dire il vero mi sanguina letteralmente il cuore) ma l’esibizione della band è stata decisamente sotto tono. O meglio, non sapremo mai attribuire le giuste responsabilità tra i suoni terrificanti, un magma di bassi che lasciava ogni tanto trasparire qualche tono più acuto, e l’effettiva performance della band. Il pubblico non sembrava curarsene in modo particolare ed accoglieva con esplosioni di urla ed un gioioso pogo assassino tutte le canzoni presentate da Wilska, Routa, Skyrmer, Tundra, Beast Dominator ed il session-man di turno alle tastiere che copre l’ormai cronica assenza dalle scene live del deus-ex-machina del gruppo, Trollhorn. La scaletta parte dall’ultimo lavoro Nattfödd per poi proporre brani storici del gruppo quali Jaktens Tid e Försvinn Du Som Lyser (con commossa dedica “to my dead brother Somnium” da parte del singer Wilska). Insomma, lasciamo il Party Stage combattuti tra la contentezza per aver rivisto dei vecchi amici ed aver vissuto con loro un’ora di danze trollish sfrenate e l’insoddisfazione per dei suoni veramente non all’altezza di un festival così importante. Ci rimane comunque il sospetto che la perdurante assenza ‘on the road’ del tastierista Trollhorn tolga veramente qualcosa alle esibizioni live dei Finntroll.
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Comincia il programma serale ed il conto alla rovescia per la fine del W:O:A 2005. Ore 20:10, True Metal Stage, attaccano gli Hammerfall. La scenografia che il gruppo Power svedese porta sul palco ricalca i temi del loro ultimo lavoro Chapter V: Unbent, Unbowed, Unbroken con ghiacci e rocce un po’ ovunque e anche la scaletta del concerto attinge dall’ultimo lavoro (Secrets, Blood Bound) prima di spaziare sulla produzione precedente della band. I cinque musicisti dimostrano di avere delle ottime doti tecniche e tengono il palco in modo eccellente coinvolgendo moltissimo il pubblico nella loro esibizione. Verso la fine del concerto degli Hammerfall si cominciano però a scorgere i primi movimenti verso il Black Stage da parte di coloro che vogliono assistere all’esibizione dei Kreator da più vicino possibile. Ed infatti quando alle 21:25 spaccate il gruppo thrash tedesco sale sul palco c’è già il pubblico delle grandi occasioni. Mille Petrozza & Co. dimostrano di apprezzare il calore del pubblico “di casa” e danno vita ad uno show di altissimo livello, per me che li vedevo dal vivo per la prima volta assolutamente sorprendente. Una band che nonostante i vent’anni di attività mantiene, come si dice, “il peperoncino nel culo”. E qualche ‘consiglio per gli acquisti’ per chi come me li conosceva poco prima di stasera.
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Ma per i fan tedeschi (e non solo per loro) il clou sarebbe venuto di li a poco con il concerto dei riunificati (anche se solo per questa occasione) Accept. Si sono detti e scritti fiumi di parole su questa reunion, pro e contro. Chi ha avuto l’opportunità di vedere l’esibizione al Gods of Metal di inizio Giugno parlava di uno spettacolo appena al di sopra della sufficienza. Probabilmente l’aria della madre patria dava a Udo Dirkschneider & Co. uno slancio diverso perché qui a Wacken le cose apparivano immediatamente diverse. Il concerto si trasformava in due ore di greatest hits (I’m a Rebel, Son of a Bitch, Metal Heart, Fast as a Shark, troppe per ricordarle tutte: fidatevi non ne mancava nessuna) in cui la tecnica individuale del chitarrista Wolf Hoffman la faceva da assoluta padrona; ad un certo punto l’attempato chitarrista rubava la scena ad un Udo in perfetta forma per esibirsi in un lunghissimo assolo che partendo dalle note del Bolero di Ravel si perdeva in mille ramificazioni classicheggianti tra gli applausi entusiasti del pubblico. Il concerto si concludeva dopo due acclamatissimi bis con Balls to the Wall (qualcuno pensava che sarebbe mancata all’appello proprio quella?). Se veramente gli Accept manterranno fede alla loro intenzione di non dare un seguito a questa reunion con dischi live, DVD o altro, vorrà dire che avremo avuto l’opportunità di assistere ad un evento a modo suo unico ed irripetibile. Sarebbe magari ora di scovare nel panorama attuale delle band altrettanto carismatiche che possano dare il cambio a questi mastodonti dell’heavy metal ormai in via di estinzione.
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E’ giunta l’ora dell’ultimo atto di questo Wacken Open Air 2005. E la regia del festival ha proprio fatto in modo che quest’anno si chiudesse con una lacrimuccia nostalgica, perché l’ultima esibizione vede protagonisti sul Black Stage i finlandesi Sentenced ed il loro Funeral Tour. Il quintetto Gothic di Oulu ha annunciato già da mesi che alla fine di questa tournèe vi sarà il definitivo scioglimento del gruppo. La scena in cui si svolge questo ultimo saluto al pubblico dopo 14 anni di attività è veramente quanto di più cupo e triste si possa immaginare: è notte, fa un freddo cane e piove che dio la manda. Mooolto Gothic…! L’opinione di chi scrive è che, con tutto il rispetto per i numerosi fan del gruppo, lo scioglimento dei Sentenced non lascerà una voragine nella scena metal europea e l’ultimo concerto ne da un’ulteriore prova, trascinandosi via stancamente, molto ben suonato ma senza acuti o parti da ricordare con particolare emozione. Insomma, di metallo poco o niente. Abbiamo apprezzato però il fatto che i Sentenced chiudessero il concerto senza discorsi di commiato o particolari concessioni al copione funeralesco. Dopo tutto si tratta solo di rock ‘n roll, n’est pas? E poi magari fra un paio d’anni ci ripensano. Vi sentireste di escluderlo?
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Ehm, ci sarebbero ancora 45 minuti di Goddess of Desire al W.E.T. Stage ma il bus ci attende, e con lui una ventina di ore di viaggio. Essere lasciati a piedi in mezzo allo Schleswig-Holstein e in queste condizioni atmosferiche non sarebbe tutto sommato una grande idea. Speriamo che i Goddess of Desire ci siano nell’edizione 2006…
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IL MIO PERSONALISSIMO BIGNAMI DEL W:O:A 2005: Miglior Concerto Machine Head Miglior Spettacolo Nightwish Peggior Gruppo Oomph! Peggior Concerto (Sigh!) Finntroll (ma era colpa dei tecnici del suono, veramente!) Miglior Cantante Femminile Tarja Turunen (Nightwish…e non solo a livello vocale…) Miglior Cantante Maschile Messiah Marcolin (Candlemass) Miglior Musicista (a pari merito) Perttu Kivilaakso, Paavo Lötjönen, Eicca Toppinen (insomma: gli Apocalyptica) Miglior Assolo Wolf Hoffman (chitarra - Accept) Miglior Cibo in Vendita Crepes alla Nutella Peggior Cibo in Vendita Tutti gli altri Miglior Bevanda The one and only Wackener Bier (veramente buona!) Più Ubriaco del Festival Tom Angelripper (l’ho incrociato molte volte durante il festival, e non l’ho mai visto una volta sobrio) Frase da Ricordare “Da dove vieni tu?” “Da un posto di merda” “Strano, vengo anch’io da lì ma è la prima volta che ti vedo”
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