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Recensione Amorphis - The Karelian Isthmus
Scritto da Stefano & Shinoko   
Sabato 14 Agosto 2010 19:55

Amorphis - The Karelian Isthmus (Relapse Records 1992)

 

Amorphis-KARELIANISTHMUS

Nell’immaginario comune le persone associano determinati aggettivi per descrivere la prima prova in studio di un gruppo: un album stupendo, aggressivo, deciso, cupo, pulito, dirompente… Il primo album degli Amorphis possiede in sé una contraddizione; è un album di perfetto doom-death metal, con qualche concessione alla melodia (non tantissime), suoni sepolcrali, esecuzioni in diversi punti in slowmotion ed un growl profondo. Tutte caratteristiche perfette per l’album; cosa si vuole di più da un gruppo che suona in maniera competente il proprio genere?! Ma proprio in questo sta la contraddizione. Il suono è troppo perfettamente death metal per essere accostato agli Amorphis, troppo cupo e privo di svisate luminose, di cambi d’atmosfera e di intrecci vocali per poter assurgere a capolavoro del gruppo. Questo può essere chiamato “the tragedy of Amorphis”, la creazione di un buon album in stile, ma comunque deludente proprio perché è un album di stile, senza alcun tratto innovativo.
Non che manchino attimi di soddisfazione nell’album: all’ascolto certi punti sono piacevoli, come i testi sempre imbevuti di un certo “folk finlandese” o di immaginario storico-epico. L’intro acustica, per sola chitarra, è un anticipo di un capolavoro come “Tales...”, ma presenta un piccolo effetto disturbante: qualcosa di inconsciamente indescrivibile. L’intro si spegne nella seconda traccia, “The Gathering”. Canzone incentrata sul growl di Tomi e su accordi lunghi e possenti, con una leggerissima chitarra a far melodia. La canzone, incentrata tutta sull’immaginario guerresco, implode ma possiede l’andatura poderosa di un esercito in una guerra lontana nel tempo.
La terza canzone, “Grail’s Mysteries”, presenta una linea vocale growl abbastanza avvincente - soprattutto nei primi 6 versi-, con giri di chitarra avvolgenti e di media velocità e un uso moderato della doppia cassa. Anche in questo caso l’ambientazione è incentrata sulla mitologia nordica (indirettamente cita anche la saga di Re Artù).
Ma la luce non fa capolino neanche negli altri pezzi, semmai la penombra delle canzoni si offusca, l’aumentata ossessività del riff catacombale e il roco ruggito di Tomi rendono le canzoni dei mantra deviati.
“Warriors Trail” si caratterizza per riff monocordi, lunghi, pesanti, galleggianti su una moderata doppia cassa. La velocità crepuscolare della canzone rallenta con il passare del tempo, fino a sfociare in una sorta di intermezzo da chiesa pagana (riproposto eccessivamente anche in altri punti della canzone).
“Black Embrace” (ripresa anche nell’EP “Privilege of Evil”) è ombrosa e mediamente lenta. Il ritornello vede un inquietante raddoppio del growl, sia nel cantato che nel coro. L’andamento cerimonioso del pezzo è interrotto solo da un assolo particolare, non in linea con la canzone (così come il finale).
In “Exile of sons Uisliu” fa capolino il folk finlandese (poi padrone incontrastato di “Tales…” e di Elegy) ma l’ambientazione musicale non ne risente. La glacialità delle produzioni folkeggianti nordiche non emerge, anzi viene risucchiata ed implode nelle rabbiose strutture delle chitarre. La chitarra di Esa riempie la canzone con un’ombra di melodia, garantendo un po’ di motilità ad una canzone claustrofobica. La presenza di un po’ di effetti di tastiere è un seme dell’uso massiccio e sapiente degli album futuri, ma non basta per sollevare il pezzo.
“The lost name of god” ha inizio con delle cantilenanti chitarre ultraterrene che lasciano poi il posto all’andamento altalenante del pezzo, che segue comunque sempre il testo: la velocità la fa da padrone quando Tomi non canta, mentre le parole sono sottolineate dalla durezza, pesantezza e lentezza delle chitarre. La strofa centrale è invece inglobata in un ritmo più serrato, contrassegnato dall’uso della doppia cassa. Dalle religioni si passa poi a “The Pilgrimage” nella quale è Satana a farla da padrone. Nel pezzo si alternano tratti più leggeri contrassegnati dalla maggiore velocità, a pezzi più pesanti ed angoscianti dovuti a riff lenti e possenti. Fanno una comparsa anche le tastiere, innaturali, che mettono ulteriormente in evidenza una presenza che fa capolino in tutto la canzone: percezione che a volte si manifesta in modo chiaro, e a volte resta sullo sfondo: la presenza di Satana.
Anche in “Misery path” si alternano tratti veloci a tratti lenti. Le chitarre non riescono ad esprimersi al meglio perché restano soffocate dalla costruzione del pezzo.
In “Sign from the North side” si può leggere la ricerca di un maggior equilibrio nella costruzione della canzone. Si accenna a una melodia, c’è un richiamo orientaleggiante della chitarre (probabilmente non voluto, come invece accadrà nei futuri album), ma benché si parli di un argomento tipico delle storia delle genti del nord, non si riesce a sentire il tratto tipico del folk nordico, ma solo una rabbia e una pesantezza che invadono l’intero pezzo. La batteria a volte sembra affaticata, rallentata, monotona.
Il pezzo finale, “Vulgar necrolatry”, alterna ancora una volta pezzi più veloci e rabbiosi a parti più lente e che tendono a chiudersi su se stesse. Questa chiusura sembra influenzare tutta la canzone, che non riesce così a svilupparsi in modo armonico.

GIUDIZIO:

Benché tra “The Karelian Isthmus” e “Tales…” vi sia un salto qualitativo a mio avviso consistente, resta il fatto che il primo album della band finlandese lascia comunque il segno, anche per la sua semplicità nella costruzione melodica dei pezzi e per il fatto di essere grezzo. Notevole il perfetto equilibrio creato tra doom e death, nonché la voce di Tomi: possente, dura, caratterizza ogni pezzo. Come detto in precedenze, però, questa caratteristica lascia insoddisfatti gli ascoltatori degli Amorphis, abituati a travolgenti cambiamenti e novità rispetto a quello che offre il mercato.
Resta lontano dai successivi lavori degli Amorphis, invece, a causa dello scarso utilizzo delle tastiere e della poca presenza di chitarre melodiche; inoltre l’abbondanza di atmosfere doom portano “The Karelian Isthmus” a chiudersi su se stesso, lasciando un po’ di amaro in bocca. Molto spesso infatti i pezzi sembrano avere tratti simili tra loro, che li rendono omogenei, poco caratteristici, tendenti alla monotonia.

 

--/10

Web: www.amorphis.net & Forum Fan Club Italiano

Lineup:
Tomi Koivusaari - Vocals
Esa Holopainen - Lead Guitars
Olli-Pekka Laine - Bass
Jan Rechberger - Drums
Kasper Martenson - Keyboards & Moog

Tracklist:
01. Karelia
02.The Gathering
03. Grail´s Mysteries
04. Warriors Trail
05. Black Embrace
06. Exile Of The Sons Of Uisliu
07. The Lost Name Of God
08. The Pilgrimage
09. Misery Path
10. Sign From The North Side
11.Vulgar Necrolatry