Soundgarden - King Animal (Universal Republic - 2012)
Arrivo in ritardo a recensire questo disco dei Soundgarden, lo so e me ne pento. Perciò perché farlo ora? Perché, in qualche modo, devo pagare pegno per essere un pigrone di prima categoria e non essermi lanciato nella recensione di un disco che, tutto sommato, sa ancora graffiare l'anima. King Animal esce a 16 anni dal precedente Down On The Upside, l'ultimo disco dei Soundgarden in studio. Ritroviamo tutti quattro i protagonisti e si ripresentano con il loro carico di anzianità (si vede e, visto che il vino nelle botti è di buona fattura, si sente) e di esperienza (alcune positive, vedi il sempre ottimo Matt Cameron con i Pearl Jam, alcune negative, vedi Cornell che si mette in combutta con Timbaland... ho ancora il mal di mare). Cosa è cambiato dagli anni 90? Tutto e niente, diciamo che siamo su sfumature di grigio (e non sono 50, dannazione a voi e a quel libro). I cari e vecchi Soundgarden non potevano riproporsi con l'anzianità in corpo, dove c'era l'urgenza, l'urlo liberatorio di una gioventù grunge (se vogliamo chiamarla in versione commerciale) è stato soppiantato da una consapevolezza maggiore di quello che sono come gruppo, come musicisti. Uno sguardo allo specchio delle potenzialità che hanno nelle dita, nella mente, per produrre un disco che sa farsi piacere. Ti prende con brani affascinanti (Blood On The Valley Floor, Taree, Attrition), ti cerca di coinvolgere con la doppietta inziale di Been Away Too Long e Non-State Actor (in cui si sente che, nonostante le primavere passate, Cornell è ancora capace di gridare) e, a volte, ti prende per mano e ti culla. I Soundgarden hanno capito che tentare di rifare quello che hanno fatto sarebbe stato mettersi in eterno ridicolo, mentre tentare di fare qualcosa come lo sanno fare loro, è la via giusta per un disco onesto e sincero. Ci fosse la possibilità di un paragone con qualche altra corazzata del fu-grunge, si potrebbe azzardare ad uno studio sull'evoluzione dei vecchi maestri di Seattle, ma fra band morte (Nirvana, Screaming Trees, i vecchi Alice in Chains) e band che, da anni e anni, il genere grunge o quello che era, non lo toccano più (Pearl Jam - in fase più leggera), il contrasto si fa evidente. Loro sono svaniti e ritornati. E noi, che senza eravamo un pochino più poveri, li aspettavamo. In definitiva cosa si può dire? I quattro dello Stato di Washington sanno ancora ammaliare, Thayil si divincola nei riff con maestria e la coppia della sezione ritmica va ancora all'unisono, strutturando delle basi sì più semplici ma pur sempre efficaci. Cornell, logicamente, è quello dove il passare del tempo è stato più inclemente ma questo non è una cosa negativa, è una cosa naturale. Era conosciuto per la sua voce, ci ha fondato una carriera intera (!!), e come ogni strumento sottoposto ad usura, anche lei ha ceduto qualche centimetro in potenza o in altezza. Quello che non ha ceduto è in personalità ed è per questo che ci troviamo, oggi, a discutere di un buon disco dei Soundgarden e non di una qualsiasi uscita.
VOTO: 7,8/10
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