Hypocrisy - Abducted (1996)
C’è un ricordo di Peter Tägtgren che mi è rimasto impresso quando l’ho intervistato con il buon Skan per il tour dei Pain ed è il suo torpore micidiale rotto unicamente dal suono di due parole: alieni e sesso. Dove il secondo termine è una sveglia miracolosa per tutti, il primo è un po’ il motivo per cui, alla sera, ci si mette fuori sul balcone e si guardano le stelle. Ovviamente se non avete niente di meglio da fare, ma se siete black metal e avete la certezza che Cthulhu sia dietro le porte della percezione, la probabilità di un attacco alieno non è una vaccata su cui soprassedere. Bisogna prestarci attenzione. L’uomo è andato sulla Luna? Cosa è successo a Roswell? L’Area 51 contiene alieni e pezzi di UFO? Esistono le bionde intelligenti? Sono tutte domande che necessitano risposte, ma noi, umanoidi, non possiamo certo sviscerare i misteri dell’universo partendo dalle nostre miserie. Non credete? L’attrazione verso lo sconosciuto, l’oltre (che non è la religione, ma proprio ciò che è oltre l’atmosfera respirabile e immerso in un luogo dove, a tutti gli effetti, “nessuno può sentirti gridare”), è una scimmia sulla schiena. Soprattutto sulla mia, di schiena. In Abducted ho quello che voglio: un grande disco death metal, fatto da uno svedese ma che non è un disco di swedish death metal tout-court e infatti pesca a piene mani dal death americano. Abducted degli Hypocrisy ha questo particolare sapore di cose buone, di vecchia, stantia, Europa e di sonorità USA mixate insieme, di dinamiche diverse dal classico “sound di Gotheborg” e di melodie che, nei dischi death metal, non erano proprio una consuetudine. Adesso ve lo chiedo, ma solo a riflessione con clusa: ma quanti dischi death metal avete sentito che mettono alla fine ben due tracce melodiche in clean?
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