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Recensione Orange Goblin - Frequencies from Planet Ten
Scritto da Stefano   
Giovedì 27 Luglio 2017 14:36

Orange Goblin - Frequencies from Planet Ten

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Quando nei contesti sociali non si parla di figa, calcio e lavoro (a volte il calcio viene sostituito da un argomento a scelta), il metallo pesante è quello che la fa da padrone. A seconda del gruppo sociale in cui ti trovi, riesci a scoprire delle differenze di vedute che riescono a sorprenderti (o schifarti il cazzo, ovvio). Ecco che ti trovi a parlare di Thrash con i Thrasher, di metallo classico con i Defender, di Black Metal con il blackster incallito e poi, rotolando giù nelle valli paludose del metal, ecco che arrivi a parlare di stoner con le sciarpette che, svolazzando per i posti più cool, ti ammorbano il cazzo con soli due gruppi stoner (Kyuss e Clutch – ok, mi direte, me cojoni, ma lo stoner è leggermente più ampio…). Le sciarpette hanno uno spettro eno-musical-gastronomico limitato e si fiondano su quello che c’è di cool al momento e il resto non lo conoscono.
Gli Orange Goblin non sono certo uno dei 20 gruppi più nominati della storia dello stoner da questa sottospecie di gruppo sociale.

E qui, cari lettori di TheMurderInn, capite perché il mondo viene governato da capre in doppiopetto, da uomini col parrucchino, dal fatto che c’è gente che guarda con sospetto le scie chimiche e che crede alla possibilità di amicizia fra uomo e donna (senza aver escluso, a priori e per un qualsiasi motivo, la possibilità di una scopata).

Il mondo è un posto difficilissimo, credetemi. Soprattutto se devi spiegare alla gente che oltre a Blues For The Red Sun, c’è anche da tenere le antenne dritte quando parte Frequencies from Planet Ten.
E vi sto parlando dell’esordio, vaccalaputtana!
Non siamo al 10 album, questo è l’esordio in studio, con Rise Above Records (perché il buon Lee Dorrian, oltre ad averci regalato i Cathedral, ci ha fatto dono anche di questa etichetta dove spara fuori di una certa pesantezza specifica – sempre sia lodato Lee Dorrian) e non c’è niente da fare, quello che senti è perfetto dall’inizio alla fine.
I suoni sono pesanti, ma non ottundenti e fini a sé stessi. C’è l’elemento liquido, non so come cazzo fare a spiegare questo concetto, ma seguitemi con l’idea, ci sono i wah-wah, i riff che si rincorrono in cerchio, il blues, l’acido e anche, cazzo, l’amore tutto speciale del Padre dei Padri: Tony Iommi e dei Black Sabbath in generale.
Sì, lo so, piazzare i Black Sabbath quando si parla di stoner è un po’ vincere facile e farsi amici tutti, ma vi dirò una cosa che ho già detto anche nella recensione del live dei Pantera: il mondo sarebbe un posto molto più brutto senza certe band.

Io quando ho necessità di un disco stoner devo ricevere, insieme o in alternativa, due elementi: essere schiacciato a terra dalle frequenze basse o essere portato fra galassie sconosciute senza leccarmi una rana dell’Amazzonia (può aiutare per il viaggio, ma se non ne hai una a portata di mano, voglio il viaggione semplice).

Frequencies from Planet Ten ha i suoni cazzodritto, sia chiaro, ma è il viaggio che la fa da padrone con titoli tratti diretti diretti da J.R.R. Tolkien o strumentali fattissimi (Song Of The Purple Mushroom Fish). Il disco si riempie e parte, si gonfia ed esplode in riff concentrici e grossi, grassi e sudati come il peggiore dei matrimoni greci (la citazione ci sta un po’ a cazzo di cane, ma non è che sto facendo una recensione professionale).

Vi voglio dare un consiglio gratis, per quelli a pagamento potete scrivermi in privato: prima del prossimo weekend, quando uscite e vedete i vostri amici, ascoltatevi questo Frequencies… perché oltre a farvi sentire delle persone meglio (che fa bene), vi darà modo di mettere un metaforico dito nel culo a quelli che, quando aprono la bocca sputando sapienza, non sanno niente di più che due band in croce.
Fatelo per voi e per spezzare le gambe a quella gentaglia.

Fidatevi: è un dovere morale.