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Recensione Black Sabbath - Black Sabbath Vol 4
Scritto da Stefano   
Martedì 17 Agosto 2010 14:03

Black Sabbath - Black Sabbath Vol 4 (Vertigo 1972)

 

blacksabbathvol4

Due anni dopo il primo gioiello, i Sabbath riescono ancora a stupire la gente. Potevano fare un album duro e puro, livido e probabilmente avrebbero ampliato notevolmente la base di fan. Avrebbero potuto stupire la gente con un album acustico, alla maniera dei Led Zep, ma i Sabbath non sono fatti per un album così. Allora cosa hanno fatto?! Hanno prodotto un album che racchiudeva tutte le loro passioni, le loro anime, che riusciva ad esprimere in maniera compiuta le trame della loro creatività. Stupendo per l'ennesima volta i suoi fan.
Forse fra i primi quattro album, questo è quello che meno riprende lo stereotipo di "satanico", di "esoterico". E proprio qua i Nostri non volevano cadere, rimanere ancorati ad un facile successo, ad una sicurezza; chi rimane fermo, in un mondo continuamente in movimento come quello musicale, si sa, resta indietro. Diventa prevedibile e grigio.
La qual cosa può anche risultare un punto di vanto ( come si fa a non ricordare gli album degli AC/DC tutti rigorosamente e orgogliosamente uguali, o la cifra stilistica che rende riconoscibili quelli degli Iron Maiden).
In "Vol.4" troviamo la volontà di Iommi di trasportare i Sabbath in lidi quasi progressive, con lunghe creazioni musicali, articolate in più "momenti" (ma rimane sempre la traccia dei Sabbath, diciamo un progressive sabbathiano); la penna di Butler scrive liriche particolari e il suo basso romba all'inseguimento della chitarra infernale di Iommi. Ward da sfoggio una volta in più della sua bravura con assoli e percussioni indiavolate e sempre in un pezzo riesce a rendere isterica la batteria. Ozzy fa prevalere la sua anima più malinconica e sensibile con una interpretazione strappalacrime in "Changes".
Ma non pensate che tutto l'album sia all'insegna di questo sperimentalismo. Ci sono, per voi fan attaccati alla potenza e oscurità della musica dei Nostri, dei pezzi che nulla hanno da invidiare ai dischi precedenti. In coda all'album troviamo uno dei numeri più lenti e doom dei Sabbath, se un genere è nato, qua troviamo il suo "degenere" genitore. Un catacombale pezzo con un titolo alquanto ironico, se si pensa alla pesantezza della traccia. Nel mezzo dell'album c'è un trittico che vale da solo il prezzo del disco, un un-due-tre che lascia sfiniti. La follia narcotica di "Snowblind", sempre riproposta dal vivo (con gigantesche macchine per simulare al neve e il buon Ozzy che corre per tutto il palco come un dannato... facendo finta di sniffare la "neve" che cade), con assoli non particolarmente lunghi ma idonei al pezzo, accelerazioni e rallentamenti nel puro stile del gruppo. L'ascoltatore vorace allora viene investito da un Bill Ward nella miglior forma possibile, un tripudio di batteria e un pezzo abbastanza veloce per i loro standard. Il pezzo sembra sostenersi solo sui piatti di Ward e questo dona alla canzone quella spericolatezza, imprevedibilità che la fa salire di molti gradini rispetto ad altre prove meno felici (soprattutto negli album a venire). Il terzo pezzo, che completa il trittico incriminato, è "Cornucopia", lenta, pesante ma molto, molto fascinosa. Un pezzo caratteristico del genere che poi sarà denominato doom e che fa il paglio con la sua cugina di sepolcrale lentezza che è "Under the Sun".
La prima traccia è quella in cui Iommi si sfoga, riesce a tradurre in pratica la sua idea di band progressiva, senza arrivare alla autoreferenzialità delle band progressive; infatti riesce a percorrere quel sottile filo che separa l'autolesionismo dalla creazione ispirata. Questo correre sulla lama del rasoio riesce ancora per poco, visto anche la difficoltà di compiere questa impresa (finché il riff-maker è in forma possiamo aspettarci questo ed altro, ma nel momento in cui perde la bussola, allora sono dolori). Ma non disperiamo, Iommi è ancora un mago nel creare riff e la sua chitarra macina note granitiche.
Gli altri pezzi sono buoni ma restano all'ombra delle creazioni sopra-citate: la fascinosa e "celtica" Laguna Sunrise, non dice nulla di nuovo e ci propone un Iommi a proprio agio anche con la delicatezza dell'acustico (forse questa è la notizia da segnare...), ma, in sostanza, risulta leggermente troppo slegata dal resto dell'album, troppo a se stante.
Lo so, adesso mi criticherete perché affermo sempre che gli album dovrebbero essere "multicolore", e adesso critico una traccia acustica. Va bene, sono pignolo, ma la varietà di toni deve essere rapportata alla creazione nel suo complesso e questa canzone stava meglio in altri album. Non è da buttare in sé, mi raccomando, ma l'accostamento non mi ispira particolarmente. ma saranno gusti.
La cavalcata di "Tomorrow's Dream" risulta essere un aggiornamento di Paranoid, ma quest'ultima è una canzone che riesce una volta sola nella vita e, anche a tentare di replicarla, il risultato sarà sempre inferiore all'originale. Ma, per onestà di critica, bisogna affermare che la canzone non è brutta anzi., ma non ci si aspetta una canzone così ordinaria dai Sabbath.
Tanto per essere innovativi si può dire che neanche Paranoid, la loro canzone più famosa, è la migliore delle loro produzioni, ma ha un potenza che non lascia indifferenti (diciamo che ha quella pesantezza hard che riesce a lambire ambiti quasi pop -nel senso pregiato del termine-, per la sua capacità di inchiodarsi alla testa e non lasciarti).
Nel disco trova spazio anche un altro strumentale "FX", sostanzialmente prescindibile. Solo la sua creazione desta curiosità: il suono è stato creato da Iommi usando la sua croce metallica (quella che porta al collo) come plettro per la sua chitarra.
L'unica traccia che è rimasta fuori è "Saint Vitus Dance". Un hard'n'roll con subitaneo rallentamento che lo lancia nelle profondità della terra (ma non lo fa sprofondare negli inferi), per poi catapultarlo a velocità sostenuta nel ritornello. Il problema di questa canzone è che assomiglia (non dico che è uguale, mi raccomando) un po' troppo a "Rock'n'Roll" o "Black Dog" dei Led Zep. In positivo posso dire che il paragone è più che dignitoso (ragazzi, sono sempre i Led Zeppelin) ma non segna in profondo l'animo di chi ascolta la canzone. Riesce a penetrare fino sottopelle ma non ti perfora il corpo, non ti lascia senza fiato. Ulteriore difesa dei Sabbath: vorrei sapere quanti gruppi odierni, nelle loro creazioni più ordinarie riescono a creare qualcosa di soltanto in odore di Led Zeppelin?Come posso finire questo articolo!? Tutto sembra detto e rischierei di cadere nel banale, per questo motivo non dirò nulla , non mi metto a fare commenti sulla situazione dei Sabbath, ma lascio parlare il disco. Un disco che riesce a scavalcare indenne i decenni e riesce ad emozionare ancora a distanza di 33 anni.

GIUDIZIO: un disco leggermente sotto i primi tre fondamentalissimi album, ma che riesce a non sfigurare nel confronto. La genuina creatività, la gradevolezza delle variazioni di suono all'interno dell'album sono il suo punto forte. La potenza di alcune sue composizioni lo stendardo sabbathiano per eccelenza.

--/10

Website: www.black-sabbath.com

Lineup:
Ozzy Osbourne: Vocals, Armonica
Tony Iommi: Chitarre solista e ritmica; Keyboards
Geezer Butler: Basso
Bill Ward: Batteria

Tracklist:
01. Wheels of Confusion/The Straightener
02. Tomorrow's Dream
03. Changes
04. FX
05. Supernaut
06. Snowblind
07. Cornucopia
08. Laguna Sunrise
09. St. Vitus' Dance
10. Under the Sun/Every Day Comes & Goes