Black Sabbath - Sabbath Bloody Sabbath (Vertigo 1973)
Ci sono album destinati a durare nel tempo e lasciare un segno indelebile nell'immaginario collettivo: questo, il quinto album dei Sabbath, è nel modo più assoluto uno di questi. Un insieme di fattori lo rendono speciale, la cover dell'album (mai come in questa un esemplare binomio buono-cattivo, angelico-malvagio), le sonorità, le canzoni in sé stesse, l'insieme dell'album. Come disco è quello che può considerarsi il culmine creativo, il lampo di genio di un gruppo. L'intento di Iommi ti trascinare il sound del quartetto in direzioni più perfezionate, più complicate e cervellotiche è evidente. L'utilizzo di strumenti diversi rispetto ai soliti chitarra-basso-batteria dona al disco una profondità e imperiosità irricreabile. Dall'iniziale title-track alla traccia finale non ci sono cadute di tono (forse l'eccezione è lo strumentale "Fluff", ma qua dipende dai gusti). Geezer tira fuori dalla sua penna alcune delle sue migliori liriche e Ward supporta le creazioni di Iommi ancorando al terreno canzoni immortali. L'unica nota dolente è la voce di Ozzy, leggermente filtrata che le fa perdere un po' della sua profondità "malata", del suo incedere pazzo e pericolante. Se devo essere sincero lo preferisco acerbo come in "Black Sabbath" che in questa veste. L'album nasce in condizioni particolari, infatti risulta essere un "Sabbath contro tutti", un colpo d'ala di una band che mostra alcuni segni di cedimento, dati soprattutto dagli abusi americani. In più, problema dei problemi, Iommi per la prima volta soffre di blocco musicale, rendendo vani e inutili, a suo parere, molti dei riff creati. La soluzione, ritornare in UK e cercare di tirar fuori gli attributi con un album devastante.Missione compiuta, direbbero. L'apertura tritura un riff immortale, pesante e tipicamente sabbathiano e tagliente, con batteria "pestata" e metronomica; ma il gruppo non ci sta a diventare monocorde e, per la delizia dell'ascoltatore, crea nei chorus inserti jazzati. Il solo centrale è perfetto e introduce ad un cambio di tempo il cui riff riesce ad andare ancora più in profondità di quello iniziale, immergendosi in profondità paludose (ci situiamo sulle coordinate di "Under the Sun" e "Cornucopia"). La coda strumentale della canzone è in perfetto stile sabbathiano. In una canzone il buon Iommi regala all'ascoltatore non uno, ma ben due riff da antologia. La seconda canzone è un altro gioiello. "National Acrobat" vede il rincorrersi di due riff, la chitarra di Iommi è tagliente e il basso di Geezer è profondo e "morbido". La canzone ha una tendenza "ascendentale", cioè crea l'impressione di arrampicarsi in punti sempre più alti, approfittando del suo andamento "simil-circolare". Iommi crea con gusto una canzone dal vago sapore progressive, in cui i vari umori della canzone convivono tranquillamente con una struttura abbastanza definita. Il solo della canzone è spezzettato ma si inserisce caparbiamente nella struttura della canzone. Solo verso la fine la coltre uggiosa di riff oscuri fa trasparire una luce, rischiarando la canzone e velocizzando il ritmo e donandole uno sprint finale, con alcuni passaggi chitarristici ottimi e di gusto sopraffino. La prima pausa dell'album è la soffusa "Fluff", tranquilla, acustica e realmente rilassante. Qua si potrebbe discutere sull'opportunità di inserirla in un contesto come quello di questo disco, ma i Sabbath, fortunatamente, se ne fregano abbastanza di quello che pensano i critici e mettono quello che a loro pare più giusto. Notevole è la profusione di strumenti che inseriscono in questa canzone, come in tutto l'album; forse questa è la novità più eclatante. La quarta traccia parte subito senza lasciare respiro, un hard'n'roll diretto con un riff veloce e tagliente. La presenza di Wakeman (dagli Yes) rende il brano meno scontato del previsto, donandogli coloriture futuristiche. Ward macina ritmo in maniera perfetto, assecondando la voglia di Iommi e sottolineando perfettamente alcuni passaggi. Gli squarci "sintetici" di Wakeman e il suo piano, rallentano la canzone e la "raffreddano" al punto giusto, togliendoli in maniera sapiente un po' del calore naturale che ne scaturirebbe. Sempre di matrice sabbathiana è l'outro del pezzo, una jam session calibrata e non pesante, con Ozzy che, leggermente in secondo piano, continua a canticchiare.
Riff introduttivo di tutto rispetto per "Killing Yourself to Live", canzone direi molto autobiografica. La canzone si adagia su toni abbastanza "acquosi" nel corpo della canzone, con ritmo mediamente lento, ridestandosi unicamente nel ritornello. Il solo è abbastanza sofferto e piacevole nel suo andamento. Come al solito, Iommi i stupisce con repentini cambiamenti di tempo; infatti nella seconda parte della canzone si inseriscono altri strumenti (rispetto ai canonici) e il riffmaker sfodera un altro ottimo riff, velocizzando la canzone.La canzone più "strana" del repertorio sabbathiano non poteva che trovarsi in questo album di ragionata "frontiera". "Who are you?", pezzo sorretto dalla sezione ritmica ma percorso incessantemente da inserti di "synth" e piano. La canzone ha toni sepolcrali nel suo essere all'interno della solitudine spaziale, rischiarata solo in un punto da un pianoforte misericordioso. Segue un pezzo abbastanza leggero (nei canoni dei Sabbath), "Looking for Today", prosegue abbastanza spedita, con Ozzy abbastanza ispirato. Lo stacco più lento è efficace e determina quell'"effetto" elastico, tipico dei Nostri. Anche in questa canzone si sentono incursioni di altri strumenti rispetto ai canonici. L'ultima traccia è forse la più esplicativa del nuovo corso che Iommi vuole dare ai Sabbath: profusione di umori della canzone, arpeggio iniziale seguito da iniezioni di elettricità (in climax). Il corpo della canzone si attesta su ritmi abbastanza lenti, ma si attesta tranquillamente sulle coordinate di un progressive più accessibile (diciamo più Rush che Genesis, anche se il paragone è senz'altro errato, anche perché i Sabbath sono abbastanza caratteristici). La voce di Ozzy risulta filtrata e un pochino fastidiosa in alcuni punti. Grandi le tastiere che rendono la canzone molto aperta e ariosa (contribuiscono a questo anche altre sonorità inserite da Iommi). "Spiral Architet" è l'opera che Iommi ha sempre cercato di fare e non riuscirà più a riproporre senza andare a finire nel pacchiano (forse solo ancora in Sabotage riesce a destreggiarsi con questa complessità). Come avete potuto capire questo è un disco meno diretto rispetto ai precedenti, più elaborato e curato; ma la qualità non si discute, essendo uno dei capolavori assoluti del gruppo. Non riusciranno più a ricreare queste atmosfere perciò può benissimo essere definito "il canto del cigno".
Giudizio: album ottimo. Superiore a "Vol.4" e si attesta insieme a "War Pigs" e "Black Sabbath" come uno dei tre migliori album. Consiglio: se non lo avete nella vostra discografia, procuratevelo; se lo avete, beh. avete un tesoro prezioso.
--/10
Website: www.black-sabbath.com
Lineup: Ozzy Osbourne: vocals Tony Iommi: guitars, organ, bagpipes, flute, harpisicord, piano Geezer Butler: bass, fuzz bass, mellontron, synthesizer Bill Ward: drums Rick Wakeman: keyboards, piano, synthesizer The Phantom Fiddlers: violins
Tracklist: 1. Sabbath Bloody Sabbath - 5:45 2. A National Acrobat - 6:13 3. Fluff - 4.09 4. Sabbra Cadabra - 5:57 5. Killing Yourself to Live - 5:41 6. Who Are You? - 4:10 7. Looking For Today - 5:01 8. Spiral Architect - 5:31
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