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Recensione Black Sabbath - Sabotage
Scritto da Stefano   
Martedì 17 Agosto 2010 14:09

Black Sabbath - Sabotage (Vertigo 1975)

 

BlackSabbath-Sabotage“Sabotage” è il sesto album del combo inglese, dopo ben due anni dalla superba prova precedente (vedi Sabbath Bloody Sabbath). L’album è un miscuglio di grezzo hard rock (con punte che toccano un ancora acerbo heavy), di sontuosità operistiche (inimmaginabili in un album dei Sabbath, ma tant’è) e alcuni accenni pop. Definendo questo album di seconda schiera si rischia di compiere però un errore, infatti la qualità di alcune composizioni è buona e i riff che Iommi macina sulla sua chitarra sono di prima scelta.
Forse il giudizio è influenzato più che dalla qualità intrinseca della composizione dal raffronto con i capolavori precedenti.
Se si sente l’energia sprigionata da pezzi come “Hole in the Sky”, “Symptom of the Universe” o “Thrill of it all”, si capisce che il gruppo ha le spalle al muro ma non è ancora morto (ma, sfortunatamente, è solo un “dead man walking”, per usare il linguaggio del miglio verde americano).
Proprio le prime due canzoni (“Hole in the Sky” e “Symptom…”) presentano i riff più pesanti, ma si differenziano sostanzialmente uno dall’altro per una ragione di fondo: dove il primo scolpisce un riffone in moviola e reiterato, il secondo presenta un riff pesante e nervoso (in parole povere anticipa “Kill ‘Em All di quasi una decina d’anni!), che si protrae per tre minuti fino a sfociare in un assolo al cardiopalma. Pregevolissima la coda in chiusura del pezzo, una jam con influssi jazz, che dimostra ancora una volta che i Black Sabbath non sono un gruppo monodimensionale.
L’intermezzo fra questi due monoliti sonori è inconcepibile e non particolarmente azzeccato, ma sicuramente spiazza l’ascoltatore.
Ozzy non ha ancora imparato a cantare (fortunatamente!) ma la sua voce risulta molto più incisiva in questo disco che in alcuni precedenti, dove veniva leggermente filtrata.
Una menzione d’onore anche per la sezione ritmica, precisa, veloce e pesante con la giusta misura.
“Megalomania” ci offre i Sabbath in un pezzo di quasi 10 minuti e presenta in sé moltissimi spunti, i primi minuti introduttivi aerei e soffusi, su cui si innesta un pianoforte, con la chitarra di Iommi che nervosamente si tiene in disparte e poi duetta con il piano. Quando finalmente viene lasciata libera di agire ci regala un ottimo riff, non particolarmente pesante ma efficace. Questo pezzo è decisamente insolito per i Sabbath, i quali spesso hanno flirtato con il progressive e con costruzioni più complicate, ma mai si erano presi la libertà di lanciarsi completamente al di fuori del loro hard rock roccioso. Una lunga jam strumentale chiude il pezzo, con tanto di introduzione di elementi come il synth.
Il quinto pezzo necessita di una presentazione personalizzata, infatti questa canzone presenta tutti gli elementi che caratterizzeranno un certo hard rock e heavy metal a seguire. L’intro pesante e coinvolgente, un riff spaccapietre e in moviola ma con notevole gusto melodico, su cui si innestano in sequenza la batteria e il basso. Il tutto fa da volano per il riff vero e proprio, cattivo e muscolare, caratterizzato da un frequente stop and go (Geezer lo ricalca con il suo basso), nelle cui pause Ozzy incomincia ad inserirsi. Infine la canzone vera e propria, con un Ozzy realmente incisivo e la presenza di orchestrazioni e sintetizzatori.
L’apertura quasi sinfonica di “Supertzar” è particolare, con vocalizzi di un coro a sottolineare la melodia abbastanza barocca. Il pezzo non dura molto ma si fa apprezzare per la sua stranezza.
Le ultime due canzoni sono l’orecchiabile “Am I Gone Insane (Radio)”; pezzo che lascia abbastanza insoddisfatti, non presentando niente di particolare (peccato mortale per i Sabbath), anzi risultando abbastanza fastidioso. Se una cosa si può dire dei Nostri è che sbagliano raramente, ma quando lo fanno, ci riescono in maniera perfetta.
“The Writ” è un pezzo particolare, strutturato su otto minuti. Si apre mestamente ma poi sfodera un’energia, garantita soprattutto dall’ugola di Ozzy, che graffia il vinile e si conficca nel cervello. La batteria metronomica e la chitarra “metallica” di Iommi tengono a bada la canzone, stringendola in legami stretti. Il riff torcibudella e ossessivo di Iommi si spegne in una chitarra acustica e in un intermezzo sospeso per poi rincominciare a mordere, questo per due volte. Questa può essere considerata a tutti gli effetti una grandissima canzone, persa nei meandri della memoria delle persone e, sfortunatamente, offuscata dallo splendore precedente.
In definitiva si può si dire che tutto l’album “gira a mille”, quasi tutti i pezzi sono nella miglior tradizione sabbathiana e presentano un notevole buon gusto. Non fosse per alcune cadute di tono lungo il corso dell’album sarebbe un capolavoro, ma visto che l’accettazione all’olimpo dei grandissimi è difficile, quest’album rimane solo alle porte dell’immortalità.

Giudizio: Avete speso i soldi per prendere i primi album? Fate un ulteriore sforzo e procuratevi questo grandissimo disco perduto, non vi deluderà. Richiede forse un pochino più di attenzione, qualche minuto in più di ascolto, ma non è questo che si ama dei grandi album?

--/10

Website: www.black-sabbath.com

Lineup:
Tony Iommi - Lead Guitar
Geezer Butler - Bass
Ozzy Osbourne - Vocals
Bill Ward - Drums
Gerald Woodruffe - Keyboards
English Chamber Choir arranged by Will Malone

Tracklist:
1
. Hole in the Sky
2. Don’t start (too late)
3. Symptom of the Universe
4. Megalomania
5. Thrill of it all
6. Supertzar
7. Am I Gone Insane (Radio)
8. The Writ