Scrivo poco, troppo poco eppure ho sempre trovato la scrittura estremamente catartica. La mia vita, negli ultimi anni, è diventata allo stesso tempo estremamente appagante e complicata, tanto da non aver più tempo per me e per scrivere, ma in questi giorni sono così turbata da avere un vortice di parole nella testa che necessita di essere impresso su carta, almeno virtualmente.
La morte di Alexi Laiho è sulla bocca di tutti, metallari e non, webzine di settore e testate giornalistiche di risonanza nazionale. Generalmente questo tipo di notizia non mi colpisce particolarmente, voglio dire, dispiace sempre che un “idolo” o un componente di una band che nel passato o nel presente hai ascoltato, passi a miglior vita, ma questa volta è diverso. In questi giorni ho riflettuto molto sul perché mi abbia così angosciato questa notizia, non sono una ragazzina e non ho mai vissuto la musica come venerazione adolescenziale del cantante/musicista, ma non riesco a smettere di pensare. Penso che ci ha lasciato uno dei più grandi artisti della mia generazione. Penso alla grande passione ed attitudine che li aveva portati a continuare il loro tour dopo l’attentato del Bataclan. Penso che non ci sarà un altro concerto, un’altra intervista, penso che non avrò più l’occasione di scattare una foto o di bere una birra insieme a lui, magari già imbarazzantemente sbronzo, a qualche festival in giro per l’Europa. Penso che avevamo la stessa età, poco più di un mese di differenza. Penso che tre anni fa sono stata anch’io “in punto di morte”. Penso alla sofferenza che ci dev’essere stata, tutta la vita e negli ultimi anni perché si sa che gli artisti, o almeno quelli che io considero tali, vivono la vita con grande inquietudine come “poeti maledetti” d’altri tempi, nella continua ricerca dell’autodistruzione. Penso che i tempi andati non ritorneranno più. Penso che questa sia la fine di un’epoca e che quei giorni gloriosi di alcol, amici, concerti, interviste, foto sono ormai lontani. Ciò che è stato non sarà più. Certo, la nostra vita non è finita, e non finiranno i festival, i concerti, le interviste, le foto e le birrette con altri artisti ma questa disgrazia risuona nella mia testa come un “giro di boa”. La consapevolezza di oggi non è certo l’incoscienza di ieri, che per certi versi rimpiango e per altri no ma senza mai rinnegarla. Infondo io mi sento sempre quella cattiva ragazza di 20 anni fa con solo qualche ruga in più ed un fardello di esperienze, alcune belle altre meno, sulle spalle. Penso che mi mancano immensamente i concerti ed i festival da cui la vita famigliare prima e il Covid poi mi ha allontanato senza però privarmi del desiderio, o meglio, dell’esigenza di calpestare ancora e ancora le pavimentazioni dei locali, la terra bruciata dei festival estivi. Penso. Penserò ancora per qualche giorno finché interiorizzerò la cosa, finché torneremo a sudare in squallidi scantinati e a bruciare sotto il sole d’agosto in qualche paesello dimenticato da Dio ma ben conosciuto dall’inquilino del piano di sotto. Quando ritorneremo a fare tutto questo, ci sarà ancora un artista in meno e, me lo auguro, qualche artista in più.
Quanto a te, poeta maledetto che dalle lande sperdute della Finlandia sei arrivato fino alle nostre orecchie in Friuli, grazie per la musica, grazie per la rabbia, la tua rabbia era ed è ancora anche la mia.
Foto- Metalcamp 2005 Add a comment
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